Miles Ward, Direttore Global Solutions di Google Cloud, racconta A Wired la struttura della nuvola: “Ogni dipendente partecipa alla sua costruzione”
Dopo essere stata per lungo tempo in coda ai servizi di Amazon e Microsoft, Google sembra vivere il momento del riscatto. La Google Cloud Platform, ha detto il Ceo Sundar Pichai ha finalmente registrato “una crescita impressionante, in termini di prodotti, aree geografiche interessate e settori”. Ma quante sono le persone che stanno dietro alla nuvola di Google?
“Tutto cresce molto velocemente e fare una stima precisa è complesso. Come azienda abbiamo 70mila dipendenti e ognuno di loro, in qualche modo, partecipa alla costruzione della tecnologia che dà vita alla nostra cloud – risponde Miles Ward, Director Global Solutions di Google Cloud – Può sembrare strano, ma tutto il lavoro degli ultimi dieci anni ha contribuito a creare la piattaforma che ora forniamo e vendiamo”.
Nonostante le cose vadano nettamente meglio che in passato, nessuno si senta arrivato: ci sono ancora “molte mani da stringere” per raggiungere un parco clienti adeguato a una struttura del genere.
Quando è stato chiaro che l’azienda dovesse affinare la strategia a livello locale, dalla comunicazione alla vendita, ha scelto (“invece di spendere quantità di soldi inutili in trasferte”) di specializzare dei profili, mettere poche persone sul territorio per la vendita e lasciare che le conoscenze fossero condivise (ovviamente, sulla nuvola).
“Rimarreste stupiti dalla quantità di Hangouts che si fanno tra persone che abitano perfino lo stesso edificio – ride Ward a margine del Google Cloud Next, l’evento di The Big G dedicato al settore – Abbiamo un ufficio in Giappone che occupa gli ultimi 6 piani di un palazzo.
Ward conosce bene il panorama del cloud e della concorrenza, perché è passato sia da Amazon, che da Microsoft (“Sono probabilmente l’unica persona con cui si possa parlare che ha lavorato per tutti i più grandi fornitori di questo servizio“). Per questo, spiega, anche se si deve fare molto ancora sul parco relazioni e clienti, non ha nessun dubbio sul fatto che non esista alcun gap a livello tecnologico: “Quando mi chiedono quanto ci metteremo noi a colmare il divario con Amazon e Microsoft, gli rispondo che tra 3 anni e mezzo loro riusciranno a raggiungerci. Ammesso che noi decidessimo di fermarci”.
Tecnologia, nella cloud, significa principalmente flessibilità e scalabilità. Una delle case history più emblematiche parlando della flessibilità, riguarda Pokemon Go. Ipotizza Ward: “Facciamo che tu sei il capo IT di un progetto e io l’ingegnere, e andiamo a chiedere le risorse necessarie a costruire la nostra applicazione a chi sta sopra di noi. Probabilmente, per avere la certezza di essere pronti a supportare il successo che ci aspettiamo, ne chiederemmo il doppio del necessario; tanto per stare tranquilli. Ora, le persone di Niantic avevano lavorato con Google Cloud prima e hanno usato tutti gli strumenti scalabili che mette a disposizione: nelle prime sette ore sono servite risorse 30 volte superiori – e poi 50 – rispetto a quelle che avevano calcolato. Non avrebbero mai potuto chiedere in anticipo una cosa del genere”.
E poi, aggiunge, varrebbe sempre anche il processo inverso: “Andiamo a chiedere al capo risorse eccessive, che poi non servono più. Cosa che peraltro succede con ogni videogioco. Inizia alla grande, poi resta una coda di utenti”.
E sulla sicurezza, come la mettiamo? Poche chiacchiere davanti alle preoccupazioni altrui: “Invitiamo a venire ad attaccarci, perché vogliamo ogni dato utile a comprendere come possiamo migliorare. Se tutto l’internet pubblico gestisce centinaia di Tb al secondo, noi ne gestiamo a migliaia: siamo più grandi di internet”.
Fonte: Wired